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sabato 26 gennaio 2013

Il Film: speriamo che sia femmina


Speriamo che sia femmina è un film del 1986 diretto da Mario Monicelli.

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Trama [modifica]

In un grande casale della campagna toscana (in realtà il film fu girato nell'altoLazio a Vicovaro) vive in armonia un gruppo di donne (più una che non compare nel film e che si dice viva a Catania e un'altra ancora che si vedrà nella parte centrale del film: l'amante romana del conte). Un racconto dunque quasi tutto al femminile dove le donne sono una maggioranza che sovrasta i pochi uomini che partecipano alla storia.
Elena, donna energica e razionale, dirige la fattoria, mentre la domesticaFosca, pratica e di buon senso, è il vero nume tutelare della casa, che provvede alle necessità materiali di tutte. Fosca si prende cura di due ragazzine, sua figlia Immacolata detta Imma, e la nipote di Elena, Martina. Martina è figlia di Claudia, famosa attrice residente a Roma, che per egoismo e necessità di lavoro ha praticamente abbandonato la ragazzina affidandola alla sorella Elena.
Un'altra donna, Franca, la figlia maggiore di Elena, appare in casa o scompare a seconda dei fidanzati presi o lasciati. La figlia minore, Malvina, mite e sottomessa, pensa prevalentemente ad allevare e curare con affetto i cavallidella fattoria.
In questo gineceo l'unica figura maschile è il vecchio zio Gugo, completamente rimbambito e fastidioso per i suoi imprevedibili colpi di testa, accudito passo passo dalla domestica. In questo ambiente tutto sommato sereno, dove ognuno vive come vuole, arriva il conte Leonardo, marito della padrona, sebbene i due vivano separati di comune accordo. Il motivo della visita è al solito economico: il conte vorrebbe ristrutturare un complesso termale in disuso, di proprietà della famiglia, per trasformarlo in un locale moderno, che a suo parere diverrebbe una vera miniera d'oro, ma mancandogli i denari per realizzare il proficuo affare, è venuto a battere cassa. Le sue speranze saranno deluse: la moglie chiede un parere sull'affare al suo esperto fattore Nardoni, che fra l'altro è il suo amante, il quale la sconsiglia d'impegnarsi in un'impresa del tutto sconsiderata.
Nel frattempo le due ragazzine sono scappate a Siena per assistere, contro la volontà e all'oscuro dei parenti, ad un concerto di un cantante pop; dunque la famiglia e il fattore si mobilitano per la loro ricerca. Poco tempo prima il conte, con lo zio Gugo alle costole, era andato in automobile a visitare un belvedere posto ai margini di un profondo dirupo. Deluso e senza i finanziamenti sperati, decide di tornare a Roma. Nel fare manovra in retromarcia sull'orlo del precipizio, chiede assistenza allo zio Gugo, che nel frattempo esegue un suo strambo "esperimento" lanciando un piccione nel vuoto e gridandogli: "Vai! Vai!"; il comando viene equivocato dal conte, che precipita nel burrone morendo sul colpo.
Il fattore Nardoni ritrova le bambine fuggite, che vengono riportate a casa, dove giunge la notizia della morte del conte. Tutti, meno naturalmente lo zio Gugo, che ha dimenticato completamente l'accaduto, si sentono colpevoli di essersi preoccupati delle bambine mentre il povero conte si sfracellava al belvedere. Durante il funerale compare ancora un'altra donna: Lori, amante del defunto conte, anche lei vittima indebitata per gli affari sconclusionati di Leonardo, la quale viene bene accolta da Elena e dalle altre donne. Tornate a casa, Franca annuncia di aver deciso di sposare Mario Giovannini, uno squinternato studioso di canti popolari, quasi per assolversi dal rimprovero del padre, che prima di morire l'aveva biasimata per il suo modo disinvolto di vivere l'amore. Da qui si origina un reciproco rinfacciarsi di colpe ed accuse per la morte del conte, che causa una crisi dei rapporti tra le donne, portando Elena a credere che ormai il legame che le univa si sia spezzato; per questo motivo, oltre che per la necessità pressante di pagare i debiti lasciati dal marito (una delle principali creditrici si rivela proprio Lori), Elena prende la decisione di vendere tutto a Nardoni. Nella fase centrale del film le donne sembrano prendere definitivamente strade diverse: Claudia, in preda a sensi di colpa per la fuga di Martina, decide di portarla a Roma con sé; Fosca progetta di raggiungere il marito, da anni emigrato in Australia; Elena, rimasta sola con Malvina, immagina il proprio futuro in un residence a Roma; per lo zio Gugo non c'è altra soluzione che l'ospizio.
Gli avvenimenti finali, invece, porteranno le donne ad avvicinarsi ancora di più, a causa di un'ulteriore serie di delusioni da parte degli uomini: Franca, rimasta incinta di Mario, si scopre improvvisamente stanca della sua inconcludenza e lo lascia; anche Claudia rompe definitivamente con il suo amante Cesare, che da parte sua aveva insidiato Malvina durante una visita di questa alla zia; quanto a Fosca, riceve la notizia che suo marito ha già da tempo un'altra famiglia in Australia. Elena sente improvvisamente l'importanza del legame che la unisce alle altre, e a pochi minuti dall'appuntamento con il notaio decide di non vendere più il casale. Pur rimanendo la necessità di pagare i debiti e altri problemi, la piccola comunità matriarcale si prepara ad affrontare serenamente il futuro. Il film si chiude con una allegra tavolata a cui partecipano tutte le donne, compresa Lori che, venuta per riscuotere il suo credito e naturalmente delusa dalla notizia della mancata vendita, si mostra comunque disposta a dare fiducia a Elena e alle altre; l'unico rappresentante del genere maschile è il demente zio Gugo, che si dedica al lavoro a maglia che aveva appreso dalla mamma di Nardoni durante la sua breve permanenza in ospizio. A questo punto, non c'è che da augurarsi che il figlio di Franca sia femmina.

Tematiche [modifica]

Il film è tutto incentrato sulla contrapposizione fra l'elemento femminile, in maggioranza per le numerose protagoniste, e quello maschile, dove i pochi rappresentanti del "sesso forte" vengono presentati come ridicoli cialtroni sia in vita che in morte (il conte Leonardo),[1] "bischeri" (stupidi) (Giovannini) o addirittura deboli mentali (lo zio Gugo). L'unica figura che sembra salvarsi, nel deludente gruppo maschile, sembra essere quella dell'equilibrato fattore, in realtà anch'esso uno strumento innamorato nelle mani di Elena.[2]
Appare chiara la simpatia e la fiducia che il regista ha per le donne, di cui apprezza il buon senso di Elena e Fosca, la leggerezza di vivere di Franca, che si serve degli uomini e poi li abbandona tranquillamente, l'amore ingenuo e generoso di Lori, la serena mitezza di Malvina.
Da notare anche la contrapposizione che il regista mette in rilievo tra due diversi ambienti: quello rurale toscano, con il casale vecchio e accogliente, benché privo di luce elettrica e di telefono (salvo quello di barattoli e spago "inventato" dallo zio Gugo), con i buoni cibi genuini, con l'arguzia e la semplicità della vita campagnola; messo a confronto, nell'ultima parte del film, con quello romano cittadino, dove vive freneticamente Claudia, con i suoi salotti pseudo-intellettuali, i suoi deludenti amori falliti e, sullo sfondo, il continuo rumore stordente del traffico, che accompagna la sua vita.
Il titolo del film esprime la speranza di queste donne, apparentemente fragili, invece forti e consapevoli della loro nascosta superiorità morale e fisica, che il nuovo nato atteso da Franca - rimasta incinta del "bischero" che poi non ha sposato - venga a rinfoltire le loro file e a rendere meno stupida la parte maschile del genere umano. Sembra dire, il regista: «Speriamo davvero che il mondo sia un po' più femmina».[3]

Note [modifica]

  1. ^ «Un gioco perfetto. Di caratteri, di sentimenti, di situazioni. Con un tasso continuo d'ironia che si fa intendere tra le pieghe del racconto anche quando la nota è al dramma: la morte di Leonardo, per esempio, cui lì nessuno pensa...». (Gian Luigi Rondi, Il Tempo 1 marzo 1986)
  2. ^ «... la donna d'oggi, non più pazza per amore ma savia per dolore, la fermezza che procurano l'attaccamento alla terra e il piacere della famiglia, l'inaffidabile fragilità dei maschi.» (Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera)
  3. ^ «Viva le donne. È infatti grazie ai nostri eterni Dei che uscito un po' ammaccato dagli ultimi film, tutti incentrati su figure maschili, Mario Monicelli ci dà una delle opere più belle di tutta la sua carriera, degna d'uscire dall'orto italiano per la sua ricchezza di chiaroscuri e l'eccellenza della sua architettura.» (Giovanni Grazzini op.cit.)

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